DA BROWNFIELD A LUOGO. RIGENERARE VIA SACCHI.
19 Lug , 2019 - News, Pensieri sull'architettura
Progettare una città significa ripensarne gli spazi scoprendovi nuove potenzialità. Spazi come via Sacchi, che verso est è un muro continuo: dietro quel muro, il mondo dei servizi ferroviaria. Un mondo rabberciato nelle forme e negli usi, divenuto ormai un cosiddetto brownfield. Cioè un luogo abbandonato, e che da troppo attende un progetto capace di completare la via, e ricostruirne la vita. Di questo ci siamo occupati in un laboratorio di architettura del secondo anno nel Politecnico di Torino. Di dare un volto a un’area dimenticata, di rigenerare via Sacchi attraverso la riconfigurazione di un luogo abbandonato.
Si conclude “RIGENERARE VIA SACCHI. PROGETTI PER UN FUTURO POSSIBILE”. Un atelier diretto da Carlo Deregibus e Rossella Maspoli con la collaborazione di Giacomo Leone Beccaria, Manuel Ramello, Alessia Rapetti. Un percorso concluso da esami e da voti, ma che speriamo abbia portato a conoscenze, attitudini e consapevolezze molto più durature.
FASE 1. Rigenerare via Sacchi.
Abbiamo voluto mettere in difficoltà gli studenti. Nessuna sognante logica da università, ma al contrario un bagno di realtà, in cui le ipotesi fossero quanto più possibile – considerando il loro livello – realistiche. Rigenerare in tempo di crisi vuol dire infatti sporcarsi le mani. Cioè evitare visioni appoggiate a sogni di mecenatismo o interventi pubblici a pioggia, per agire nel mondo reale: orientandone le logiche in modo strategico, rinforzando reciprocamente pubblico e privato.
Perché in una comunità, se non funziona una parte, non funziona niente. È cronaca quotidiana, invece, l’opposizione tra visioni e logiche autoreferenziali, basate sull’assunto che gli altri soggetti “debbano” agire come una parte preferisca. La nostra prospettiva è opposta: perché le cose si realizzino, bisogna che tutti ne abbiano vantaggi, e anzi che i vantaggi degli uni origino e rinforzino quelli degli altri. Un circolo virtuoso che ha una dimensione puramente strategica.
Così, gli studenti nella Fase 1 hanno ipotizzato dei progetti di trasformazione dell’area che mettessero un operatore economico in condizione di essere interessato all’area. Ma indirettamente, orientati a generare spazi di qualità a livello urbano. La relazione morfologica e di uso diventa così un modo per rigenerare il modo di vivere un’area.
FASE 2. Dalle FORME alle NORME.
Ma questi sono ancora disegni. La Fase 1 del laboratorio di architettura si è conclusa con 18 proposte per rigenerare via Sacchi. Le 3 migliori sono diventate le strade da esplorare per il resto del laboratorio.
Ed è iniziata così la Fase 2: quella più sperimentale e accademicamente “scandalosa”. Ognuno dei 3 masterplan è stato diviso in lotti e i ragazzi hanno scelto quale lotto sviluppare, distribuendosi tra tutti. Ma prima di portare avanti il lavoro, la Fase 2 trasformava le FORME in NORME. In grandi sessioni, tutti insieme abbiamo cioè sperimentato cosa vuol dire tradurre le “buone intenzioni” in norme cogenti e prescrittive, scritte secondo il terribile linguaggio burocratico del nostro Belpaese. Confrontandosi con norme locali e nazionali, regolamenti, piani regolatori, i ragazzi hanno trasformato quei concept di forma in pagine di norme scritte. Imparando a padroneggiare la norma, invece che subirla.
FASE 3. Il progetto come forma del cambiamento.
E si arriva così alla fase 3: la più lunga dell’intero laboratorio. Ogni gruppo ha sviluppato un lotto di uno dei tre Masterplan, seguendo non solo le norme esistenti, ma anche quelle date nella fase 2. Così i gruppi hanno agito secondo il proprio interesse, scoprendo forze e debolezze delle regole ch’essi stessi si erano date.
Ognuno ha progettato case, spazi per l’artigianato e il commercio, parcheggi e strade, ma soprattutto luoghi. Luoghi pubblici, o luoghi di contatto con il pubblico, o luoghi che sul pubblico affacciano. L’intero progetto è stato portato avanti, cioè, chiedendosi quali fossero le specificità di questo luogo, e come valorizzarle, riconoscendone anche i limiti, accogliendone la modestia, e ricostruendone una coerenza.
Così che infine il vero metro di giudizio del lavoro è stato il percorso stesso: se i progetti dei gruppi, uniti, fossero riusciti davvero a ricreare il Masterplan che li originava, allora avrebbero dato valore a tutte le fasi del laboratorio. Avrebbero cioè mostrato di rispettare linee guida concettuali e tradotte in norme, al tempo stesso sfruttandole per generare un progetto il più possibile aderente al mercato. Cioè di sporcarsi le mani, ma per proporre un intervento in cui la qualità dei luoghi sia massimizzata attraverso la realizzazione dell’interesse sia del privato, che del pubblico. Evitando inutili contrapposizioni, e avvicinandosi alla dimensione strategica del progetto.
A presto per una mostra dedicata ai risultati del laboratorio. Intanto complimenti a tutti, e in bocca al lupo.
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laboratorio, politecnico di torino, rigenerazione urbana, teoria del progetto