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DI MAESTRO IN MAESTRO | Frank Lloyd Wright al Lingotto

29 Giu , 2018 - Pensieri sull'architettura

 

Finalmente, a soli 3 giorni dalla chiusura, siamo andati a vedere la mostra FRANK LLOYD WRIGHT TRA AMERICA E ITALIA alla Pinacoteca Agnelli, al Lingotto. Insomma, per una volta che c’è una rassegna dedicata al più grande architetto della storia, non si poteva saltare 🙂 Ecco la nostra recensione.

Frank Lloyd Wright tra feticismo e illuminazioni

Diciamo la verità, la mostra sembra un po’ da feticisti dell’architettura. Il Maestro aveva stuoli di schiavi adoranti scelti tra i migliori giovani, che producevano disegni bellissimi, a volte sensazionali. E la mostra è di disegni, infatti. Alcuni di edifici famosissimi, come il Guggenheim di NY, altri probabilmente noti solo agli addetti ai lavori. Vi potreste chiedere se non era il caso di mettere qualche foto, oltre alle gigantografie che introducono alle varie stanze, e forse avreste ragione, tanto più che ci sono foto storiche stupende…

Ma non è feticismo. I disegni di Wright sono straordinari non perché siano belli – anzi, alcuni di quelli esposti non sono nemmeno tra i migliori – ma perché creano luoghi immaginari. I disegni cambiano stile grafico secondo tempi e costumi, ma sempre creano luoghi che non sono “semplici” rappresentazioni, ma racconti. Ad esempio, tra quelli esposti, si stagliano i disegni del Johnson Wax Building, con le sue strutture a ombrello: una pianta bellissima, e una prospettiva immaginifica che trasforma l’interno in esterno, raccontando meglio di qualunque parola la luce naturale che invade tutto.

La nostra recensione della mostra "Frank Lloyd Wright tra America e Italia", Pinacoteca Agnelli, Lingotto, Torino | Bottega di Architettura

Certo, non sarebbe stato male invece avere qualche disegno in più delle Usonian Houses, di cui invece non c’è granché, che raccontasse come attraverso le formelle di cemento del suo revival Maya, Wright creasse in realtà un nuovo rapporto natura-edificio. Un rapporto, come dice Carlo Scarpa della sua Villa Ottolenghi, basato sul fascino della rovina, immortale proprio perché in relazione con la natura. E dire che ci sono disegni stupendi di queste ville…

La nostra recensione della mostra "Frank Lloyd Wright tra America e Italia", Pinacoteca Agnelli, Lingotto, Torino | Bottega di Architettura

Gli edifici alti e il dominio della geometria

E poi ci sono gli edifici alti. Non proprio grattacieli, magari, e forse per questo progetti un po’ sottovalutati dalla storia dell’architettura. Parlando di Frank Lloyd Wright si citano Taliesin, la Casa sulla Cascata (presente con alcuni disegni), appunto il Guggenheim, e poi le grandi case (delle Prairy Houses trovete un esempio giovanile e qualcosa di più avanzato, delle Usonian abbiamo detto), magari le vetrate. Ma i grattacieli? Gode forse di una minima fama l’Illinois, che doveva essere l’edificio più alto del mondo (1 miglio, ed eravamo nel 1956!), e che preconizza le forme di edifici come il Burj Khalifa di Dubai o della Jedda Tower ora in costruzione in Arabia Saudita. Beh, tranne che al miglio di altezza, ancora, non siamo giunti.

La nostra recensione della mostra "Frank Lloyd Wright tra America e Italia", Pinacoteca Agnelli, Lingotto, Torino | Bottega di Architettura

Ma nella mostra invece ci sono degli autentici tesori per gli architetti. Perché le piante degli edifici “alti”, dalla Price Tower alla St.Mark’s-in-the-Bouwerie Tower, sono dei pezzi di bravura da cui chiunque ha da imparare. In contrasto con gli spazi enormi delle ville – lontane, diciamo, dalle abitudini dei più – questi sono spazi (quasi) normali, più compatti e ottimizzati. E la genialità geometrica viene dalla sovrapposizione di un modulo quadrato e una griglia esagonale: cioè dal ruotare una griglia esagonale secondo angoli di 90° che impostano la forma generale dell’edificio. Una simmetria rotta poi da eccezioni costruite sulla maglia. Si generano così spaccature, spazi inaspettati e dinamici, in una continuità spaziale da arredare a misura ma completamente sfruttabile.

La nostra recensione della mostra "Frank Lloyd Wright tra America e Italia", Pinacoteca Agnelli, Lingotto, Torino | Bottega di Architettura

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Dalle geometrie agli UFO

E poi ci sono gli UFO. Non c’è altro modo di chiamare una tendenza verso le curve, le forme a cupola sospese, le forme scultoree e plasmate nella materia continua. Quasi che Frank Lloyd Wright si fosse accorto, a un certo punto, dell’essere “coulant” del calcestruzzo, delle forme levigate. D’altra parte, negli anni ’50 Le Corbusier realizzava la cappella di Ronchamp

È forse un peccato che le sezioni tematiche siano centrate tipologicamente più che architettonicamente. Più che altro perché la divisione sembra inefficace. Come giustificare l’assenza dello Unity Temple tra “Gli edifici pubblici”, se non riconoscendo che invece ciò che accomuna gli edifici scelti è appunto una tendenza organicista verso curve e forme scultoree, senza scala? Forme che però erano state esplorate tante altre volte dal Maestro, in residenze private, resort, garage. Come in questo Sports Club (purtoppo) mai realizzato:

La nostra recensione della mostra "Frank Lloyd Wright tra America e Italia", Pinacoteca Agnelli, Lingotto, Torino | Bottega di Architettura

All’origine dell’arte

E questo è forse ciò che manca davvero nella mostra. La comprensione che l’arte di Wright non è stata quella di fare “belle case”, “bei musei” e via dicendo. Ma, al contrario, la capacità di sperimentare il disegno e le soluzioni architettoniche accordandole a un’idea di abitare. Geometrie basate su volumi equivalenti, maglie esagonali, cerchi, curve infinite, salti di quota, linee tese. Strumenti geometrici e puramente formali, ripetutamente studiati nel corso di MIGLIAIA di progetti: affinati fino a creare i capolavori che l’hanno resi immortale. Questo lavoro di continuo affinamento, che travalica tipi, usi, rivela la potenza della forma e della gestione della forma. Un potere arcano, che solo pochi maestri hanno saputo dominare.

 

 

 

N.B. le immagini sono tratte da
Bruce Brooks Pfeiffer, “Frank Lloyd Wright. Complete Works”, 3 volumi, Taschen, 2009- 2010- 2011.
Ve li consigliamo caldamente, anche se forse sono un po’ estremi 🙂 Sono infatti libri immensi per dimensione e peso, sebbene straordinari per ricchezza e interesse. Ne trovate una mia recensione qui (registrandosi gratuitamente): Deregibus Carlo, “Frank Lloyd extra-large: 1.700 pagine x 20 kg”, Il Giornale dell’Architettura, n. 97, agosto-settembre 2011, p. 26, ISSN: 1721-5463.
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