CITTADELLA | PD
RASSEGNA: “Stato di Necessità. L’urgenza di progettare il domani”, Palazzo Pretorio, 2012, a cura di Associazione culturale Architettando e Flavio Albanese
COMMITTENTE: Associazione culturale Architettando
PROGETTO ALLESTIMENTO: Silvia Sgarbossa, Graziano Pavin
con: Massimo Favarin, Elisa Monegato, Elena Panza, Diego Stocco, Alice Turcato
L’architettura dell’architettura
L’allestimento di una rassegna di architettura è una sfida culturale e comunicativa.
Da un lato, infatti, il progetto ha una sua autonomia: l’allestimento è un apparato scenografico che deve attrarre e affascinare di per sé. Dall’altro, esso nasce per ospitare altri progetti, di cui diventa supporto e ambientazione: e quindi deve evitare di imporsi, mettendosi piuttosto al loro servizio. E ancora, l’allestimento è la messa in forma della rassegna culturale: ne è l’espressione fisica e percepita, e quindi deve esprimerne il concetto nel modo più puro e forte.
Una scenografia, una infrastruttura, una sintesi concettuale. Tutto questo è un allestimento, una “architettura dell’architettura”.
Ma ci sono altre condizioni e altri vincoli, oltre a quelli intellettuali. Ad esempio, nello specifico, la splendida cornice del quattrocentesco Palazzo Pretorio. La possibilità di invadere il territorio comunale con installazioni temporanee e provocatorie. Un budget ridotto, sostenuto da sponsor particolari di cui trasformare i prodotti in risorse creative. E una prospettiva culturale di forte impatto, capace di allargare i confini e innalzare il livello del quotidiano dibattere.
Dall’emergenza alla necessità
“Stato di necessità”: questo era il titolo della rassegna. Il termine necessità richiama situazioni come l’housing sociale, le risposte a disastri come terremoti o tsunami, o l’intervento su edifici in procinto di crollare. In effetti, una cosa accomuna tutti questi temi: l’emergenza. Ma l’architettura è necessaria in molti più casi, e non solo quando l’emergenza lo renda evidente! Ad esempio, quando determina la qualità della vita di una famiglia. Quando accoglie usi delicati, come in un ospedale o una casa di riposo. O ancora, quando diventa luogo in cui le persone si svagano e cercano attimi di felicità. Quando smuove pensieri e critiche, con installazioni e edifici. Insomma, potenzialmente, sempre.
Abbiamo continuamente bisogno di architettura, solo che non lo sappiamo, e sempre ci adattiamo a ciò che troviamo, luoghi e edifici mediocri. Scoprire questa “necessità” era lo scopo della rassegna. Raccontare il diverso “stato di necessità” di episodi e casi raccolti tra le migliori pratiche architettoniche, selezionate attraverso un bando di concorso internazionale.
L’allestimento si confrontava quindi con un tema forte e particolarmente delicato, costruendo quella che Luigi Pareyson avrebbe detto la sua “regola” proprio a partire dai vincoli e dalle opportunità della contingenza. Ovvero, un budget molto, molto basso, e solo materiali offerti dagli sponsor: chilometri e chilometri di tessuto-non-tessuto di scarto e di cassette da frutta di plastica colorata. Materiali poveri che non hanno limitato l’allestimento, anzi ne sono diventati protagonisti: trasformando la “necessità” in punto di forza del progetto.
L’allestimento esterno
L’intero palazzo è aggredito dall’installazione, e ne viene mutato secondo una pop-strategy di grande forza. Sono protagoniste le cassette di plastica, colorate in un vivido fucsia. Usate come blocchi componibili, le cassette tamponano dall’esterno le aperture della facciata, rovesciando l’usuale rapporto tra pieni e vuoti e ridisegnando il suo rapporto con la via. E all’ingresso, campeggia un grande totem composto dalle stesse cassette: un punto di richiamo dirompente e sfacciato.
Qui si vede la natura più scenografica dell’allestimento: la sua genesi profondamente architettonica, fondata sulla percezione delle persone. Rafforzata, anche nelle piazze della città, da altri totem, ingigantiti a diventare anche sedute, quinte, pareti. L’effetto shock dato dal colore, e dal vedere un diverso modo d’essere di un elemento tutto sommato comune come una cassetta per frutta, hanno sortito pienamente il loro effetto: attraendo, incuriosendo, seducendo le persone. Creando quell’aspettativa verso il nuovo che è la base del successo di una rassegna.
Alla fine dei mesi della rassegna, tutto l’allestimento, posato a secco, è stato smontato: le cassette sono state rivendute, rientrando nel mercato e finanziando così il resto dell’allestimento. Così che in effetti il riciclo non sia semplicemente un’affermazione politically correct o un atto di mecenatismo, ma a tutti gli effetti un modo di vedere i processi e i progetti come parte di un grande ciclo di vita. Un altro, ulteriore esempio di necessità, auspicata e qui realizzata.
L’allestimento interno
Se all’esterno domina il fucsia delle cassette, all’ingresso nel Palazzo l’atmosfera diventa gradualmente più misteriosa e seducente. Così, dopo il totem colorato all’entrata del Palazzo, quattro teli bianchi formano una quinta scenica che accoglie il visitatore, orientandolo verso le scale che portano al “cuore” della rassegna. Dietro questi teli, uno degli spazi satelliti dell’esposizione: un salotto dove guardare una serie di video.
Il tessuto è onnipresente negli spazi interni del Palazzo sede della mostra. Tessuto nero, prima di tutto: per rivestire la presenza ingombrante di pannelli e pareti bianche in cartongesso presenti nelle stanze. E tessuto bianco, che emerge dalle tenebre formando sedici nicchie in cui esporre le opere selezionate per la rassegna. Le nicchie sono costituite da tre teli bianchi di tessuto-non-tessuto alti 3,50 metri, usati nella loro larghezza originaria. Appesi con un filo di nylon al soffitto, sembrano fluttuare nell’aria: e in effetti ondeggiano lievemente, solleticando l’immaginazione. Un effetto seducente quanto misterioso: l’allestimento lavora sui sensi, come farà tempo dopo la nostra installazione di Pistoia.
Una singola lampada, creata nel medesimo tessuto, illumina ciascuna nicchia, trasformandola in una colonna di luce. I pannelli espositivi sono fissati con semplici calamite. E così, da una colonna all’altra, tra squarci di colore e luce, il visitatore è guidato in un percorso continuo fino al grande muro fucsia. È ora di uscire, e questo muro ricorda la sorpresa, lo shock che si è provato inizialmente. Per fissarlo, e renderlo prezioso: così che i contenuti della rassegna vengano tatuati nelle memorie.