BALDISSERO TORINESE | TO
committente: COMUNE DI BALDISSERO TORINESE
budget per la costruzione: 5.000€
PREMI:
VI IASS HANGAI INTERNATIONAL PRIZE
PUBBLICAZIONI:
“Il Giornale dell’Architettura”, n. 56, novembre 2007
“Journal of the International Association for Shell and Spatial Structures”, vol. 49, n. 3, 2008
Chilton J. (ed.), “Timber Structures from Antiquity to the Present”, T. C. Halic Universitesi, Istanbul 2009
“Stato di necessità – matter of necessity”, Edizioni Architettando, Cittadella 2012
MOSTRE:
“Beyond Media 2009. Visions”, spazio Alcatraz, Stazione Leopolda, Firenze, 9 luglio – 17 luglio 2009
“Stato di Necessità. L’urgenza di progettare il domani”, a cura di Associazione culturale Architettando, Palazzo Pretorio, Cittadella, 19 maggio – 1 luglio 2012
Architettura effimera, architettura eterna
Un padiglione temporaneo vive in una duplice dimensione temporale. Da un lato, la sua durata è progettata per essere breve: un’architettura effimera. Dall’altro il suo effetto può distendersi nel tempo, nella ritenzione della memoria: un’architettura eterna.
Transitorietà, e insieme permanenza.
Sono queste condizioni che rendono i padiglioni così adatti alle architetture sperimentali – come le Serpentine Gallery dimostrano. E in questo caso, la sperimentazione aveva limiti e vincoli molto forti. Dimensioni sotto i 40 mq, rapidità di montaggio e smontaggio, possibilità d’installazione e riuso in luoghi differenti, budget complessivo non superiore ai 5.000 €. E naturalmente, forte impatto scenografico.
A ogni scala, il progetto si è confrontato con questi limiti. Certo, il basso budget e i tempi ristretti imponevano una tecnologia costruttiva di estrema semplicità, e materiali ultra-economici. Ma al tempo stesso le prime riflessioni sui luoghi ispiravano forme complesse, organiche: gusci sinuosi, ad avvolgere come in un bozzolo visitatori e materiale espositivo. Peccato che queste due dimensioni, l’economicità e le forme libere, raramente vadano d’accordo: la “free-form architecture” si caratterizza di solito per i raffinati apparati tecnologici e la complessità costruttiva, ed è questo che la rende difficile da progettare e realizzare.
Solo il progetto poteva superare quest’apparente ossimoro.
Progetto come ricerca, ricerca come progetto
E lo ha fatto attraverso una ricerca progettuale fatta di sperimentazione ad ogni livello, legando continuamente la forma e il modo di costruirla: in un continuo processo circolare di ridefinizione. Arrivando così al progetto di un “nido”, un gridshell composto da una serie di elementi curvati, a intrecciarsi in una morbida rete. Una forma spettacolare soprattutto nel luogo dell’installazione: il sagrato della settecentesca chiesa di Santa Maria della Spina, con le cui forme barocche il padiglione avrebbe dialogato.
In questo senso, il progetto è attento all’inserimento: non mimetizzandosi, ma rispettandolo con tocchi delicati e attenti. Ad esempio occupando una porzione definita del porfido del sagrato, rientrando nel suo disegno complessivo, senza mai ignorarlo. O ancora, studiando sistemi di fissaggio al suolo rispettosi del luogo e del tutto reversibili. Il padiglione temporaneo diventa una forma fluida, che emerge come un’onda dalla pietra, disegnando un rete nel cielo.
Matematica di un padiglione temporaneo
Ma il progetto non è un puro gesto artistico. Certo, spesso i progetti di architettura si occupano prima della forma, poi di come realizzarla: e spesso, l’estetica sopravanza la cura tecnologica. Qui, nulla del genere. Anzi la soluzione all’arcano arriva proprio dall’essenza del problema costruttivo. Qual è il modo più semplice possibile per unire due elementi? Probabilmente sovrapporli, forarli e fissarli con un semplice bullone e un dado.
Ma per poterlo fare i listelli, una volta sovrapposti, devono aderire: cioè avere facce parallele, almeno nel punto di giunzione. E come definire geometrie complesse, riuscendo a mantenere questo parallelismo? La trama s’infittisce: ed è qui che la ricerca, dall’architettura, sconfina nella matematica, scoprendo e studiando le curve geodetiche (o “geodesiche”, usando la distinzione inglese). Entità geometriche per lo più ignorate, su cui poco esiste, e che spesso vengono definite semplicemente come “curva più breve che congiunge due punti di uno spazio”. Ma, andando più a fondo, si scopre che le loro proprietà sono per l’architettura di estremo interesse. E in questo caso offrono una soluzione altrimenti impossibile a un problema tanto semplice: tracciare linee che, nella superficie, rendano possibili i giunti minimi e semplici che abbiamo visto.
Free-form architecture e costruzione
Tutto risolto? Certamente no. Prima di tutto, nessun software è in grado di tracciare geodesiche in modo corretto. E poi, bisognava stabilire l’esatto ordine di montaggio degli elementi, perché la forma è determinata dal progressivo aumento dei vincoli. Ogni elemento, cioè, viene flesso per essere unito agli altri: nel farlo, si crea una tensione. Un vincolo, che a sua volta deforma l’intera struttura, in un processo graduale che si interrompe solo alla fine della costruzione. Tutto ciò implica qualcosa di sconvolgente: che durante tutta la costruzione la forma, in realtà, cambia di continuo!
Questo ha riflessi sul comportamento strutturale: il padiglione è un ibrido tra struttura pneumatica e reticolare a guscio, efficace ma molto difficile da verificare. E sulle scelte tecnologiche: servono elementi flessibili, che possano essere curvati in opera adattandosi all’evoluzione graduale della forma. E che siano anche essere super-economici, per rispettare il budget. Così ha inizio una ricerca su materiali alternativi, fino alla scelta di listelli di legno di frassino usati normalmente come coprifili. Così, di nuovo, il ricircolo del progetto affina la forma in modo da bilanciare gli sforzi tensionali, esaltando la resa strutturale dei materiali.
Alla struttura avvolgente fa da complemento una pelle parziale, in tessuto da esterni, che diventa schermatura verso il sole e si adatta quindi ai diversi orientamenti del padiglione. Che, installato in un luogo diverso, in posizione diversa rispetto al sole, vedrebbe i campi coperti cambiare, in modo da adattarsi ai raggi e ottimizzarne la schermatura.
Il padiglione temporaneo e la non-standard architecture
E come comunicare un progetto la cui forma si può vedere solo alla fine? Non certo con disegni tradizionali come prospetti e sezioni. Al contrario, è stato necessario progettare un sistema di comunicazione del progetto alternativo, non standard, fatto di semplici tabelle. Nulla faceva presagire a chi costruiva l’aspetto finale: le tabelle stabilivano solo i punti di foratura e gli accoppiamenti. Si lavorava sui listelli, numerandoli, forandoli secondo i dati descritti dalle tabelle, e poi li si assemblava nell’ordine definito, aumentando man mano la tensione della superficie. Una vera e propria “non-standard architecture”, usando un temine coniato da Frédéric Migayrou per una famosa mostra al Centre Pompidou di Parigi, nel 2003.
La costruzione ha coinvolto gli studenti del Politecnico di Torino in un workshop reso possibile dal Comune di Baldissero Torinese e coordinato insieme a Maarten Jansen e Mario Sassone: il padiglione, essendo sperimentale, è stato infatti prototipato presso Les Grands Ateliers, a Lione, prima di essere smontato e ricostruito a Baldissero da un team di quattro persone, in sole otto ore. Così, il padiglione temporaneo è diventato anche luogo di formazione ed esperienza: di nuovo, emerge la natura effimera e insieme permanente di quest’architettura.
Installato in occasione della principale fiera cittadina, il padiglione temporaneo è stato premiato con il prestigioso Hangai Prize dell’International Association for Shell and Spatial Structures (IASS).